lunedì 17 dicembre 2012

Les nouvelles Juliette…


Juliette cerca di salvare il piacere rifiutando l’amore-dedizione, caratteristico dell’ultimo secolo della borghesia come resistenza alla saggezza borghese”. 

L’analisi è di Adorno e Horkheimer che, nel saggio La dialettica dell’Illuminismo, portano avanti la tesi secondo cui l’illuminismo avrebbe la tendenza a rovesciarsi nel suo contrario, soprattutto nell’asservimento totalitario delle masse, attraverso le lusinghe dell’industria culturale. È chiaro che per i due filosofi della Scuola di Francoforte l’illuminismo non è soltanto una fase storica oramai superata, semmai un passaggio ancora tenacemente aggrappato alla poliedrica società consumistica e globalizzata, e che trova nelle sue idiosincrasie il rovesciamento di se stesso e il controllo degli individui.

La cultura, costruita ad arte da un’industria che edulcora e dolcificando controlla, è ben altro che una parentesi politica, ma è il leitmotiv per un asservimento radicato in cui il tema del sesso e del piacere fine a se stesso è lo strumento che più si presta a questo stesso controllo.
La Juliette del marchese De Sade è sicuramente una pedina di una società che la vorrebbe relegata all’interno di un gineceo conservatore e maschilista eppure, nel suo ribellarsi, Juliette non fa altro che cadere nella trappola che la vorrebbe libera nei suoi consumi libidici, libertà che di contro la renderebbe comunque schiava.
Juliette è uno stereotipo al contrario: sadica e lasciva incanta se stessa prima degli altri, l’amore è un concetto troppo grande, troppo pericoloso per poter essere anche solo bisbigliato. Nell’amore il piacere era associato alla venerazione dell’essere che lo procurava; l’amore era la passione propriamente umana, ma – spiegano ancora Adorno e Horkheimer – nell’adorazione dell’amante come nell’immaginazione senza limiti di cui era oggetto da parte dell’amata, si mascherava e idealizzava sempre di nuovo la servitù effettiva della donna.

I desideri non sono bolle di sapone che svaniscono non guardandole, Freud è stato molto esplicito su questo argomento: le pulsioni non restano sotto al tappeto, né è possibile aspirarle come fossero polvere, ma restano, si contorcono finché non trovano il modo di mostrarsi. Juliette divinizza il peccato, così come la morale e le regole sociali divinizzano la virtù. Ma vizio e virtù sono solo le due facce di un’unica medaglia, e l’uno è il guinzaglio dell’altra.

E l’amore che ruolo ha in tutto questo?

Nell’epoca della grande industria culturale l’amore è annullato”. I filosofi della scuola di Francoforte non hanno dubbi. “Un tempo la servitù nella casa paterna accendeva nella fanciulla la passione che pareva condurla alla libertà: anche se poi questa non si realizzava nel matrimonio, né al di fuori della casa. Mentre si apre, per la ragazza, la prospettiva del job, le si sbarra quella dell’amore”. Soprattutto in una società in cui la considerazione che un individuo ha di sé cresce proporzionalmente alla sua fungibilità. Il matrimonio rende fungibili, se non altro nella misura in cui la donna viene vista – ancora – come colei che elargisce dedizione, colei che ascolta, che passivamente produce attraverso la cura dell’altro. “Il cristianesimo ha idealizzato, nel matrimonio, come unione dei cuori, la gerarchia dei sessi, il giogo imposto al carattere femminile dell’ordinamento maschile della proprietà”. Ma il gentil sesso ha pagato il culto stilnovistico della donna angelicata con la credenza delle streghe. “Perché la distruzione non ammette eccezioni – dice Juliette – la volontà di distruggere è totalitaria, e totalitaria è solo la volontà di distruggere (…) vorrei che l’umanità avesse una testa sola per avere il piacere di mozzarla d’un colpo”. In questa frase è vivo il marchio della debolezza insita nell’essere donna, ma la debolezza che emerge è sociale non biologica.

Il modo in cui una ragazza accetta e assolve il sue date obbligatorio, il tono della voce al telefono e nella situazione più familiare, la scelta delle parole nella conversazione e l’intera vita privata, ordinata secondo i concetti della psicoanalisi volgarizzata, attestano lo sforzo di fare di se stessi l’apparecchio adatto al successo, conforme, fino ai moti più istintivi, al modello presentato dall’industria culturale”. L'oggetto si spinge oltre l'alienazione del feticcio, si fa strada in un labirinto fatto di tabù e di stereotipi, diventando esso stesso un feticcio.
Anche il matrimonio è l'oggettivazione di un sapere che smette di essere antropologico per ascoltare solo il richiamo delle esigenze sociali.

Certo che ti farò del male. Certo che me ne farai. Certo che ce ne faremo. Ma questa è la condizione stessa dell’esistenza. Farsi primavera, significa accettare il rischio dell’inverno. Farsi presenza, significa accettare il rischio dell’assenza”. Queste dovrebbero essere le promesse che due innamorati, pronti al matrimonio, dovrebbero farsi l'uno all'altro. E se questo impegno lo adotta il Piccolo Principe perché non precettarlo anche noi?. L'amore eterno è una solo una promessa che difficilmente potrà essere mantenuta. Ma l'appunto non è se è possibile amarsi per tutta la vita, la domanda è perché due persone dovrebbero promettersi di amarsi per tutta la vita? Forse senza un giuramento non riuscirebbero neppure a provarci? L'amore è un prestito ipotecario fatto su un futuro incerto e imperscrutabile, e la realtà è molto più stuzzicante di un matrimonio castrante. 

Ogni giorno incontriamo sguardi e odori nuovi e a quegli impulsi, se non ci fosse l'idea che la fedeltà sia una virtù e non una regola sociale, ci lasceremo andare. L'essere umano è una monade che aspetta ti poter aprire la finestra che gli permetterà di osservare il mondo nella sua totalità, nel frattempo maschera questo suo bisogno creando le varie Juliette e le Justine: le due antitesi che però si incontrano in un'unica castrazione sociale.
Ma allora perché l’unica cosa che cerco è l’amore totale, ridicolo, scomodo, spossante, che ti consuma e non ti fa pensare ad altro? (cit).

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martedì 11 dicembre 2012

All Apologies…


Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane...

Se Italo Calvino potesse vedere in che modo la società odierna dimentica e ripudia i giovani, probabilmente il suo aforisma si trasformerebbe nella domanda retorica: chi sono i giovani oggi?

Perché è questo che dobbiamo chiederci. 

Non possiamo più circoscrivere la giovinezza all'interno di categorie temporali e anagrafiche come potevamo fare venti anni fa, trent'anni fa, perché realtà quali precariato, instabilità economica, difficoltà a trovare un lavoro, hanno fatto sì che i giovani d'oggi siano i trentenni e i quarantenni. Persino i cosiddetti esodati sono costretti a vivere la loro involuzione socio-economica dimenticando chi sono stati fino a quel momento, per trasformarsi in qualcosa che pensavano di non dover essere più: giovani disoccupati in cerca di lavoro.
Dobbiamo renderci conto che riproporre linguisticamente le vecchie categorie utilizzate nel passato, significa anche correre il rischio di non essere capiti dal nuovo uditorio, questo significa che se si vuole parlare ai giovani d’oggi si deve imparare a usare una semantica nuova che tenga conto delle trasformazioni già realizzate a livello sociale. Chi si prenderà l’onere e l’onore di governare questo bistrattato Paese avrà il dovere anche di contenere la grande piaga della disoccupazione e del precariato che lo affligge da troppo tempo.


In Italia il tasso di disoccupazione raggiunge il 10,7 per cento, ma l'allarme maggiore è data dal tasso di disoccupazione giovanile: stiamo parlando del 35,3 per cento. Gli inattivi, ossia coloro che hanno rinunciato anche a cercare un lavoro hanno raggiunto il 36,3 per cento. All'interno di questa drammatica percentuale è il mondo femminile a farla da padrone. Non sto dicendo nulla di nuovo quando affermo che le donne hanno più difficoltà a trovare un impiego e, quando lo trovano, devono faticare il doppio per avere un riconoscimento effettivo che dovrebbe tradursi in mobilità sociale.

Lo studio della mobilità sociale si pone, in genere, due obiettivi: dar conto della consistenza dei flussi degli individui o dei gruppi che si spostano tra le varie posizioni sociali, e stabilire in che misura questi flussi dipendono da un’effettiva apertura della società (sostanzialmente si calcolano i mutamenti di carattere economico-produttivo). Peccato che gli strati occupazionali non sempre rispondono ai percorsi di mobilità, sia che si tratti di mobilità verticale (se ascendente: indica lo spostamento verso una posizione collocata gerarchicamente più in alto come nel caso di un operaio che si trasforma in artigiano; se discendente, il caso in cui un artigiano  diventa operaio), sia che si tratti di mobilità orizzontale (rinvia al passaggio tra due posizioni sociali collocate sullo stesso livello gerarchico).

In questo panorama il mondo femminile, per lo più, si posiziona tra i soggetti socialmente immobili. Da qui si evince che i giovani subiscono un doppio scacco: quello di essere nati nel periodo sbagliato, e anche quello di essere nati con il sesso sbagliato.
In Sardegna i dati sono ancora più preoccupanti: sulla base dei dati diffusi dalla CISL, per quel che riguarda la Sardegna, gli indicatori più importanti rilevano una condizione preoccupante in tutte le province, come si attesta dalla rilevazione annuale dell’ISTAT sul mercato del lavoro:  107mila, in valore assoluto, il numero dei disoccupati in Sardegna;  solo nella provincia di Cagliari, fra i 15 e i 24 anni, i senza lavoro sono saliti al 35,1 per cento. Il Sulcis è la provincia più povera d’Italia…

Ma vedete questi sono solo numeri... per dirla come Wittgenstein dopo aver guardato un temporale, alla domanda "quante gocce di pioggia hai visto?" la risposta più adatta è "molte": non che il numero preciso non esista, ma non lo si può conoscere. Ecco che dobbiamo andare oltre le cifre per scrutare, analizzare e soffermarci e quindi capire come dobbiamo muoverci per cambiare la realtà socio-economica. Perché in queste percentuali non ci sono degli anonimi volti, semmai delle persone con dei visi e con delle voci. E i nostri politici hanno il compito di ascoltare queste loro voci, hanno il dovere di non tradire le richieste non di un futuro migliore ma della possibilità di costruirsi un futuro.

E le basi per la costruzione del proprio  futuro non si innalzano puntando il dito e
accusando i giovani di essere schizzinosi, o di essere dei bamboccioni. È troppo facile dire a un neolaureato o a un neodiplomato cosa non deve essere, senza però dare delle chance vere e non demagogiche su ciò che potrebbe almeno tentare di diventare. Se vogliamo giocare di dialettica allora sostengo la tesi che ciò di cui non si può parlare, allora si deve tacere, e magari rimboccarsi le maniche per costruire anziché distruggere, dare speranza anziché muovere delle sterili accuse.

Oggi forse la domanda che i giovani si pongono di più è: continuare gli studi o buttarsi il prima possibile nel mondo del lavoro? E immediatamente l'altro quesito: quale lavoro?

Allora vi dico che studiare non è mai perdere tempo, studiare è l'unico modo per inserirsi in una società sempre più competitiva che chiede delle conoscenze e delle capacità che solo in apparenza non sembrano avere riscontro nel mondo del lavoro. Essere consapevoli del proprio valore è ciò che ci permette di porre le fondamenta per il nostro futuro. Non dobbiamo essere schiavi dei luoghi comuni e non perdiamoci d'animo... facciamo in modo che i nostri pensieri non cadano immaturi dall'albero.
Mi rendo conto che non è semplice e che la crisi economica che il mondo intero sta vivendo non aiuta ad essere ottimisti, ma il mondo è la totalità dei fatti non delle cose, e i fatti altro non sono che la costruzione dei passi di ognuno di noi.

Oggi i giovani aspirano a rapporti autentici, in perenne ricerca della verità, ma sono anche diventati più realisti e meno sognatori, perché assimilano le incertezze che vivono gli adulti: sono forse la generazione più disillusa, disincantata, pragmatica e diciamolo … cinica. La “digital generation” è anche la generazione di giovani “multitasking”, e per quanto caotico e discontinuo possa apparire, il multitasking risponde a competenze comunicative che prevedono una pluralità di linguaggi e quindi l’accesso a più codici che allargano le opportunità di relazioni. Ma a quale prezzo? 

La globalizzazione sociale e Internet ci permette di essere costantemente aggiornati su tutto ciò che accade anche dall’altra parte del mondo, eppure facciamo fatica a sapere e a conoscere, perché la differenza tra ciò che è vero e ciò che è falso diventa sempre più labile e sempre meno circoscrivibile all’interno di chiare categorie comunicative. 

La promiscuità virtuale tende a confondere i giovani indebolendo la loro capacità di critica e di sintesi. Internet inoltre è diventato il veicolo più veloce per i fenomeni come  il “grillismo”, fenomeno questo che per tanto tempo si è vestito di una falsa aurea di antipolitica, per poi mostrare il suo vero volto di demagogia e populismo. Ecco perché la politica, quella vera che non ha mai finto di essere qualcosa d’altro da ciò che ha sempre voluto essere, ma deve imparare a stare nuovamente in mezzo alla gente, e soprattutto in mezzo ai giovani.
Deve smettere di essere solo per se stessa in un mondo astratto e demagogico… deve esserCi per tutti coloro che credono, e soprattutto per chi ha smesso di avere fiducia.
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