
La storia, devo ammettere, non trovo sia particolarmente avvincente. Tuttavia, il romanzo è ricco di aforismi semanticamente organizzati in piccole perle di saggezza, sagge forse soprattutto perché raccontano acidamente quelle ovvietà sociali che troppo spesso ci imponiamo di non guardare.
Una persona emerge su una parola e precipita
su una sillaba… tristemente vero, costantemente umano.
Ma cosa ci rende affascinanti e oggetto di ammirazione per gli occhi che ci guardano? E quanto deve essere rumorosa la sillaba che, invece, ci fa cadere nell’abisso del pubblico ludibrio?
Per rispondere a queste domande ho cercato di riflettere sulle categorie alle quali faccio riferimento quando nutro un sentimento di approvazione nei confronti di qualcuno. L’italiano però è davvero una bella lingua, e ha tutta una vasta gamma di vocaboli per spiegare le infinite emozioni che l’animo umano può provare, e allora mi sono resa conto che non tutte le persone per le quali nutro approvazione, riescono a far decollare in me anche il sentimento di ammirazione. A dire il vero, è quasi difficile che questi individui siano ai miei occhi anche affascinanti. Il lato oscuro che ognuno di noi possiede, certo. Il mio è spesso talmente nero da essere costretta a portare sempre con me una pila, proprio come il mantra religioso che il buon Pascal portava legato alla tunica. Una luce che rischiara, ma non per questo capace di illuminare il sentiero da percorrere.
Approvo l’onestà, il senso di vera amicizia, la lealtà verso gli altri, ma soprattutto la coerenza con i propri pensieri e le proprie azioni. Eppure, sono affascinata dall’insostenibile leggerezza dell’essere… cosa sia questa leggerezza dell’essere è una scoperta che non può essere categorizzata in un solo istante di vita, perché tutti i giorni apprendo cosa significhi per me far volteggiare il pensiero. Ma in questa riflessione mi sono resa conto di un’altra verità: l’idea di approvazione cambia a seconda del genere. Si sa che l’uomo, e intendo socialmente parlando, si può permettere delle ambiguità che alla donna sono da sempre nettamente precluse. Analisi questa che, da che c’è stata la rivoluzione sessuale, riempie i capitoli di manuali di psicologia e sociologia. Insomma, la teoria della doppia morale non è solo un apostrofo rosa tra le parole sesso e comportamento, semmai una realtà che, nonostante le varie Madonna e Lady Gaga, continua a rimanere fermamente consolidata anche nelle culture tecnologicamente raffinate. E va tristemente annotato che le peggiori nemiche della libertà, coloro che mostrano una forma mentis figlia del maschilismo radicato, sono proprio le donne. Non è totalmente colpa loro, s’intende. È difficile riuscire a dimenticare tutto ciò che ci è stato inculcato negli anni, nei secoli. Nessuno ci ha mai detto espressamente che i film porno sono dei piacevoli sollazzi tipicamente maschili, eppure in qualche modo ci hanno fatto credere che fosse così. Ci hanno detto che alle donne certe immagini non possono piacere, ancor meno eccitare, perché quello che viene riprodotto nel filmetti vietati ai minori di diciotto anni, è solo una finzione di un rapporto sbagliato perché senza amore.
E la donna non fa mai sesso senza amore…
Sulla falsità di questo sillogismo non apodittico si potrebbero scrivere infiniti altri capitoli di manuali che, forse, la società attuale così chiusa nelle proprie paure, non è pronta a scrivere e ancor meno a leggere. Marilyn Monroe non ha caso resta ancora l’icona della femminilità enfatizzata che riesce a superare le mode del momento. I maschi ambiscono alle femmine burrose che danno l’idea di essere gattine senza unghie, e le donne rincorrono questo sogno attraverso la chirurgia estetica. Non è la ricerca della giovinezza a determinare le regole del silicone, altrimenti non ci sarebbero tante sedicenni a chiedere per il loro compleanno delle tette nuove di zecca. La maschilità egemone rimanda, infatti, alla supremazia sociale esercitata non con la forza bruta ma attraverso una dinamica culturale che pervade la vita privata e gli ambiti sociali.
Ma l'amore è davvero un sentimento?
O piuttosto un composto chimico? Ricerche scientifiche hanno dimostrato che è la dopamina a far scoccare la scintilla dell'innamoramento. Non mi dilungherò sulle relazioni amigdala-amore-sesso, tuttavia le teorie delle neuroscienze restano estremamente affascinanti anche da un punto di vista più spiccatamente sociologico perché, seguendo quest'ottica, aumenterebbero le variabili dipendenti, ossia quelle che possono essere osservabili da campione, nell'interazione tra i diversi individui. Interazione che, per dirla come Durkheim, determinano i fatti sociali.
È un fatto sociale che se una donna mostra
una vita sessuale libera verrà additata come puttana e, di conseguenza,
meritevole di questa etichetta per l’eternità. La giurisprudenza ha accettato
l’indulto per alcuni crimini, ma non c’è indulgenza per la donna che gioca allo
stesso modo in cui giocano gli uomini. Forse perché – per dirla sempre con Don DeLillo
– il sesso ci maschera. Il sesso vede
dentro di noi. Ecco perché è così devastante. Ci spoglia delle apparenze.
In una società dove tutto, o quasi, è apparenza, l’erotismo resta l’unica forma non mistificante in cui le fantasie possano ancora trincerarsi. Una sorta di iperuranio platonico in cui l’idea prende voce, ma lo fa in silenzio e senza invadenze. Marcuse in Eros e civiltà sosteneva che la fantasia avesse una funzione d'importanza decisiva nella struttura psichica totale, perché collegava gli strati più profondi dell'inconscio con i prodotti più alti della coscienza (arte), il sogno con la realtà, e conservava gli archetipi della specie, le idee eterne ma represse della memoria collettiva e individuale, le immagini represse e ostracizzate della libertà. La donna erotica è accettata dal moderno maschilismo egemone, ma solo come utile masturbatoria mentale. Il resto è un concentrato orgiastico di ipocriti cliché sociali, dove neppure Dioniso trova la sua più intima sublimazione. È ipocrita anche l’atteggiamento di alcuni maschi che recitano la parte dell’uomo moderno, fingendo – e magari ci credono davvero – di essere dei paladini del colore rosa. Il mondo della politica è assai fertile di questi individui. Vivono in uno stagno di incongruenze e di falsi moralismi che attuano a loro discrezione. Perché la politica è per antonomasia virile, maschia. Non a caso qualcuno, tempo fa, aveva adottato lo slogan del noi ce lo abbiamo duro. Negli anni questi coloro hanno dimostrato che l’unica cosa dura che possedevano era il loro comprendonio. Nel frattempo però hanno cavalcato l’onda, neppure tanto anomala, di un maschilismo perseverante e fuori controllo.
Anche molte donne hanno finito con l’aggrapparsi tenacemente a quest’onda…
Per dirla come la spiegherebbe Foucault, stiamo parlando della cosiddetta Biopolitica, ossia della vita che diventa oggetto. Il filosofo muove i suoi passi attraverso la lettura dei cosiddetti filosofi del sospetto, Marx-Nietzsche-Freud, e non dimentica di analizzare la problematica sessuale all'interno della filosofia del potere. L’analisi della componente sessuale nella nostra società letta attraverso la filosofia del potere vede l'interdizione ufficiale del sesso, negli ultimi secoli, come una trappola e un alibi per nascondere la consacrazione di tutta una cultura all'imperativo sessuale. In altre parole, il limite dell’ipotesi repressiva consisterebbe nel non aver compreso che anche i meccanismi di messa al bando ufficiale del sesso fanno parte di un disegno strategico complessivo, volto a dare importanza alla sessualità e a favorire una vera e propria esplosione discorsiva intorno ad essa, dove la donna altro non è che l’oggetto attorno al quale tutta questa strategia ruota.
Se per prime non siamo noi donne a dire
basta a tutta questa mercificazione e a questa doppia morale, non ci resta che
un futuro uguale al presente e al passato.
Chiudo con un altro aforisma di Don DeLillo,
sempre tratto da Cosmopolis:
Voglio
una vita di libertà mentale in cui le mie Confessioni possano prosperare.
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