Nel La nascita della tragedia Nietzsche
nella sua ricerca dell'arte tragica parte dall'individuazione delle due
componenti tipiche di ogni arte: l'apollineo e il dionisiaco. Apollo è il dio
dell'equilibrio, della misura, mentre Dioniso è il dio della sfrenatezza,
dell'estasi. In ogni arte l'apollineo è di conseguenza la parte razionale, il
dionisiaco quella istintiva ed emotiva; là dove l'arte apollinea è per
eccellenza la scultura, quella dionisiaca la musica. La tragedia è la perfetta
sintesi di entrambe. Nietzsche si sofferma sulla tragedia attica e crede che
dall'equilibrio della componente apollinea e dionisiaca nasca per l'uomo una
situazione di serenità e di armonia, armonia e serenità che il filosofo ritrova
sicuramente negli antichi greci, precisamente nel periodo presocratico, ma non
nell'uomo moderno. Per questo motivo si interroga su come ebbe origine la
tragedia e sul perché essa cessò il suo splendore nell'arco di circa un secolo.
Si domanda innanzitutto a che scopo gli antichi greci crearono gli Dei
olimpici, in riferimento a tale domanda egli afferma che in essi ogni uomo
vedeva rispecchiato il mondo perfetto, quello a cui aspirava ma che non poteva
vivere, oppresso dalla tragicità dell'esistenza che avvertiva sempre più
concretamente. Gli Dei permettevano all'uomo di vivere e di sopportare la sua
esistenza, coprendo con il loro gusto della misura ogni suo accenno di eccesso
e sfrenatezza. Era l'epoca dell'apollineo, l'epoca Omerica, che sarebbe stata
superata dall'arrivo di Dioniso. Dalla lirica di Archiloco si sviluppa il gusto
del dionisiaco e prende forma la tragedia attica, che trae la sua origine dalle
schiere invasate dei cultori di Dioniso, mossi da impulsi ancestrali che, con le
loro danze e i loro canti, si riconciliano con la natura in festa. La tragedia
nasce dai cori ditirambici: coloro che li intonavano distruggevano la propria
soggettività e sprofondavano nella natura universale, di cui la musica è
specchio. Quando l'uomo sprofonda definitivamente in questa dimensione
dionisiaca interviene Apollo, la componente razionale[1].
L’uomo ha perso se stesso ed il terrore che ne deriva è troppo forte per essere tollerato: interviene allora la visione apollinea, che permette alla soggettività di riapparire come illusione. La visione apollinea è una visione salvifica senza la quale l’uomo non potrebbe tollerare d'esistere. «Proprio in questo, nel cogliere l'essenza della vita, la tragedia e l'arte in generale divengono la giustificazione estetica della vita. In altre parole l'esperienza che lo spettatore vive durante la tragedia rende la vita possibile e degna di essere vissuta. L'uomo attraverso la tragedia si riappropria delle sue passioni contrastanti e realizza che gioia e dolore sono entrambi necessari, sono entrambi presenti nella vita. Impara a godere tanto dell'uno quanto dell'altra. Egli apprende la natura tragica della vita». La tragedia greca è la perfetta sintesi di apollineo e dionisiaco. Il coro, formato da una massa di invasati, costituisce la componente dionisiaca. Lo spettatore, però, vede questa dimensione irrazionale sotto forma di “sogni” del coro: è come se il coro immaginasse la vicenda e gli spettatori assistessero a questa illusione apollinea, che è una sorta di specchio in cui si riflette l'ebbrezza dionisiaca del coro[2]. Nella tragedia greca i personaggi appaiono come una visione plasticamente reale, nitidamente disegnata, ma che nasconde il panico profondo dell’ebbrezza di Dioniso, il flusso continuo della vita che si impone con potenza irresistibile. La serena natura apollinea si riflette quindi nella visione plastica realizzata dalle arti figurative e l’esperienza dionisiaca, al contrario, trova la sua esaltazione nell’ebbrezza della musica. Ma per Nietzsche, che supera la noluntas schopenhaueriana, l'uomo non deve fuggire dal mondo, non deve isolarsi e soprattutto non deve cercare di annientare i suoi istinti, ovvero la volontà e la razionalità. L'uomo deve piuttosto vivere secondo la sua natura, assecondando questi istinti proprio come fa con la ragione. L'uomo, per sopportare la vita, non deve allontanarsi da essa, ma avvicinarsi a quello che davvero è per sua natura. Ed è quello che sono riusciti a fare gli antichi greci, con la creazione del teatro e della tragedia greca e che, al contrario, non riesce l'uomo moderno, ingabbiato dalla razionalità, che ebbe il sopravvento dall'età socratica in poi. «(...) contro la morale si volse dunque allora, con questo libro problematico, il mio istinto, come un istinto che parla in favore della vita, e inventò una sistematica controdottrina e controvalutazione della vita, una valutazione puramente artistica, una valutazione anticristiana. (…) la chiamai valutazione dionisiaca»[3].
L’uomo ha perso se stesso ed il terrore che ne deriva è troppo forte per essere tollerato: interviene allora la visione apollinea, che permette alla soggettività di riapparire come illusione. La visione apollinea è una visione salvifica senza la quale l’uomo non potrebbe tollerare d'esistere. «Proprio in questo, nel cogliere l'essenza della vita, la tragedia e l'arte in generale divengono la giustificazione estetica della vita. In altre parole l'esperienza che lo spettatore vive durante la tragedia rende la vita possibile e degna di essere vissuta. L'uomo attraverso la tragedia si riappropria delle sue passioni contrastanti e realizza che gioia e dolore sono entrambi necessari, sono entrambi presenti nella vita. Impara a godere tanto dell'uno quanto dell'altra. Egli apprende la natura tragica della vita». La tragedia greca è la perfetta sintesi di apollineo e dionisiaco. Il coro, formato da una massa di invasati, costituisce la componente dionisiaca. Lo spettatore, però, vede questa dimensione irrazionale sotto forma di “sogni” del coro: è come se il coro immaginasse la vicenda e gli spettatori assistessero a questa illusione apollinea, che è una sorta di specchio in cui si riflette l'ebbrezza dionisiaca del coro[2]. Nella tragedia greca i personaggi appaiono come una visione plasticamente reale, nitidamente disegnata, ma che nasconde il panico profondo dell’ebbrezza di Dioniso, il flusso continuo della vita che si impone con potenza irresistibile. La serena natura apollinea si riflette quindi nella visione plastica realizzata dalle arti figurative e l’esperienza dionisiaca, al contrario, trova la sua esaltazione nell’ebbrezza della musica. Ma per Nietzsche, che supera la noluntas schopenhaueriana, l'uomo non deve fuggire dal mondo, non deve isolarsi e soprattutto non deve cercare di annientare i suoi istinti, ovvero la volontà e la razionalità. L'uomo deve piuttosto vivere secondo la sua natura, assecondando questi istinti proprio come fa con la ragione. L'uomo, per sopportare la vita, non deve allontanarsi da essa, ma avvicinarsi a quello che davvero è per sua natura. Ed è quello che sono riusciti a fare gli antichi greci, con la creazione del teatro e della tragedia greca e che, al contrario, non riesce l'uomo moderno, ingabbiato dalla razionalità, che ebbe il sopravvento dall'età socratica in poi. «(...) contro la morale si volse dunque allora, con questo libro problematico, il mio istinto, come un istinto che parla in favore della vita, e inventò una sistematica controdottrina e controvalutazione della vita, una valutazione puramente artistica, una valutazione anticristiana. (…) la chiamai valutazione dionisiaca»[3].
Se La nascita della tragedia è un'opera sostanzialmente estetica, dove l'arte e l'analisi della tragedia attica è il motivo per cui l'istinto dionisiaco e quello apollineo sono considerati proprio in quanto motivo della stessa tragedia, ne La visione del mondo dionisiaca (1870), scritta a soli ventisei anni e non destinata alla pubblicazione, Nietzsche, affronta il rapporto conflittuale tra gli impulsi generatori della cultura umana, o almeno greca e poi europea, ossia la lotta tra l’apollineo e il dionisiaco di cui si è già detto, in un senso più etico. In effetti, il pensiero tragico di Nietzsche si forma intorno a questa lotta e La nascita della tragedia dallo spirito della musica, ha come nucleo proprio La visione del mondo dionisiaca. In questo saggio il filosofo tedesco espone l'origine di una nuova visione del mondo, appunto quella dionisiaca, che non nacque nello stesso posto in cui si sviluppò, la Grecia, ma in Asia. Ma è con l'arte greca che si da avvio all'apoteosi del dualismo estetico-etico: l'apollineo e il dionisiaco. «L'uomo è felice della propria esistenza in due soli stati – scrive Nietzsche – lo stato del sogno e lo stato dell'ebbrezza, che rappresentano due fughe anestetiche dalla realtà. Dal momento che soltanto sotto effetto onirico o sotto effetto narcotico l'uomo riesce a godere dell'esistenza, l'arte, in quanto espressione della volontà vitale, non può che essere suscitata da uno di questi stati, o nel migliore dei casi, da entrambi»[4].
Attraverso il dualismo dei due principi, Apollo e Dioniso, è possibile tracciare la filosofia morale nietzschiana che, va detto, probabilmente non ha mai interpretato la sua fatica nichilista e la conseguente trasfigurazione dei valori precostituiti con uno spirito totalmente nuovo e assolutamente libero, come una filosofia morale, piuttosto come un'alternativa a ciò che di sbagliato e costrittivo la società aveva creato, a partire dal socratismo. Lo spirito apollineo è il tentativo di spiegare la realtà tramite costruzioni mentali ordinate, negando il caos che, secondo Nietzsche è proprio della realtà, e non considerando l'essenziale dinamismo della vita. Lo spirito apollineo è la componente razionale e razionalizzante dell'individuo. Lo spirito dionisiaco, di contro, è la parte irrazionale dell'individuo e dell'esistenza, la parte caotica e non chiudibile all'interno di una trattazione sistematica e ordinata, vera parte dominante della vita vista come ebbrezza, sensualità, esaltazione ed entusiasmo. La cultura umana nasce dal tentativo di padroneggiare il non padroneggiabile, dalle strategie di addomesticamento dell'orrore connesso alla scoperta del destino e della sua finitezza. La nascita della tragedia è un risultato di tale strategia: la tragedia rappresenta allo stesso tempo il dispiegamento dell'orrore e del suo addomesticamento[5]. Secondo Nietzsche la cultura di un popolo ha solo due possibilità: occultare la verità (ma così viene meno la stessa), o nutrirsene (ma così si estinguerebbe).
È sempre Dioniso che ci svela l'univa verità attraverso il Sileno:«La cosa migliore è non essere, la seconda morire presto»[6]. Perché l'esistenza è il peggiore degli inferni, tanto che la scelta più razionale sarebbe quella di autoeliminarsi, eppure colui che sa percepire il senso tragico della vita è pure in grado di godere appieno della vita stessa e dell'esistenza. Egli sa tenere assieme la volontà vitale, che fonda la vita e allo stesso tempo è la prima causa della nausea d'esistere, e la negazione della volontà quale frutto più maturo della ragione umana partecipe della verità. Rinsavito dall'esperienza sconvolgente dell'ebbrezza dionisiaca, l'uomo scopre la nausea per la propria vita, la sua assurdità, e abbraccia – in un eterno amor fati[7] – per l'intero la verità terribile comunicata dal Sileno e che permea lo spirito dionisiaco.
L'apollineo illude gli uomini a vivere ancora, un desiderio fallace, ma contro l'abisso del dionisiaco l'uomo è spinto a creare. In questo modo l'assurdo non è più un'obiezione di vita, piuttosto è l'occasione del contrasto creativo di rendere ancora più ricca la vita stessa[8]. Ma quel è il segreto per arrivare a tale comprensione? Per Nietzsche è opportuno mantenere la profondità dionisiaca e la superficialità apollinea, la verità e la parvenza estetica, il freddo intelletto della scienza e il cuore caldo dell'arte e di tutto ciò che non è scienza. Il solo in grado di frantumare il cervello in questo profondo dualismo è per il filosofo tedesco lo spirito libero. Ma lo spirito libero vive sull'orlo della pazzia, proprio perché nel suo universo psichico deve esserci il posto per due sfere cerebrali sconnessi l'uno all'altro, rispettivamente preposti per ciò che è scientifico e per ciò che non lo è.
Insomma, un Io paradossale che rischia di trasformare l'uomo moderno in un essere schizofrenico.
Gli antichi hanno saputo, di contro, cogliere il vero significato della vita, nel suo essere tragico, mentre l'uomo moderno è incapace di cogliere questo passaggio fondamentale. Egli nega l'ebbrezza dionisiaca, fugge alla sua danza e rinnega la possibilità di essere ciò che è: istinto e sensualità. La razionalità, occupando tutto lo spazio vitale, impedisce la visione del reale e con essa fa credere che l'ordine e il controllo sia l'unica alternativa alla propria felicità. Tornare indietro non si può, tuttavia è ancora possibile una rinascita attraverso prima il nichilismo – il punto di arrivo è il deserto: è il nichilismo su cui splende il sole nero della morte di Dio, in base a una leggerezza di danza che non tiene assieme impulsi contrastanti (la danza tragica), né ipotizza la mitezza di una salute schizofrenica in cui possano convivere intelletto e cuore (la danza illuministica), ma si dedica all'abbandono di ogni grave metafisico (la danza oltreumana)[9] - poi la nascita di nuovi valori dettati dal profeta Zarathustra. «Questa danza così terribile non è più cosa umana, non è adatta né all'uomo dall'insuperabile talento per la sofferenza (l'uomo greco), né all'uomo profondamente folle e superficialmente saggio dal mite carattere autoironico (lo spirito libero), ma è praticabile, sempre che lo sia, da un uomo che ancora non c'è (l'oltre uomo). La nuova danza è una danza crudele: i due poli che la sorreggono sono la volontà di una profondità e la volontà di una superficie, entrambi violente e brutali, una ferisce, l'altra inganna»[10]. È chiaro che l'oltreuomo dovrà intrattenere un rapporto particolare con la sofferenza, proprio che anticamente il popolo greco era tanto sensibile da essere capace di soffrire.
Nell'opera giovanile Apollo e Dioniso rivestono ancora un ruolo assolutamente positivo, giacché dal loro scontro-incontro nasce la tragedia, successivamente per il Nietzsche maturo entrambi i due principi sono portatori di discordia, seminano distruzione proprio perché il loro equilibrio è impossibile e la vittoria del principio dionisiaco conduce ala nichilismo passivo, ossia di quel nichilismo che non può portare ad una rinascita, mentre la vittoria del principio apollineo porta agli inganni della metafisica.
La morale delle società moderne e l'ideale etico attraverso cui è indirizzato l'agire umano è la sintesi della vittoria dell'apollineo. La religione è per Nietzsche una sottomissione, la madre della morale degli schiavi ai quali è stato detto che la vita è altrove e che quella terrena è solo un passaggio di ricerca e di crescita interiore, giustificata solo ai fine dell'altra vita, quella ultraterrena. Ma per il filosofo questa non è la verità. Al massimo è solo una verità, nata appunto dalla vittoria dell'apollineo[11]. Per Dioniso la vita è qui e ora e il tempo della verità non può che essere il presente, della corrispondenza. Ma non si tratta comunque di una verità stabile perché la dottrina dell'eterno ritorno non può essere trattata come verità, perché questo farebbe del principio del divenire una dottrina che scade , vittima anch'essa della corrispondenza nominale. «Non resta che danzare, come una follia bella, sul divenire delle parole e sul dirsi del tempo»[12].
Nietzsche è sicuramente un pensatore inattuale – come lui stesso amava definirsi – l'umanità in cui lui viveva non possedeva ancora la coscienza per sentire la fine di un'epoca che non “la smette di finire”. Lontana dal senso tragico greco e posseduta dal positivismo e dalla dialettica dell'illuminismo che vedeva nella ragione il lume incondizionato, l'uomo moderno ha fatto fatica a sublimare il principio apollineo con quello dionisiaco, dimenticando quest'ultimo.
Ma la domanda è: Nietzsche è ancora un pensatore inattuale? Anche per le nostre società attuali, per l'agire dell'uomo moderno, il messianesimo nietzschiano è ancora umano-troppo umano?
«E cosa c'è di più tragico di un mondo
perfettamente omologato, di un universo appiattito e privo di differenze, nel
quale il tragico e ogni richiamo a un senso delle contraddizioni svaniscono
all'orizzonte?»[13]
Forse, più che il senso del tragico, l'uomo moderno
ha acquisito un forte e profondo senso del grottesco.
Bibliografia
· Giovanni Reale e Dario Antiseri, Il pensiero
occidentale dalle origini a oggi, vol. 3, editrice La Scuola, 1983;
·
F. Nietzsche, La visione del mondo dionisiaca,
Bombiani testi a fronte, 2011
·
F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi
edizione, 2009,
[1]
Ivi, pag.41: «Dapprima egli è divenuto, come artista dionisiaco,
assolutamente una cosa sola con l’uno originario, col suo dolore e la sua
contraddizione, e genera l’esemplare di questo come musica […], ma in seguito,
sotto l’influsso apollineo del sogno, questa musica gli ridiventa visibile come
in un’ immagine di sogno simbolica».
[2]
Ivi, pag.62: «(...) in origine la tragedia è solo coro e non dramma».
[3] Ivi,
pag,II
[4] Nietzsche, La visione del mondo
dionisiaca, Bombiani testi a fronte, 2011, pagg. 20, 21
[5] Nietzsche, La visione del mondo
dionisiaca, cit. pag. 10
[6] .cit.
[7] Ivi,
45:«La dimensione temporale del divenire diventa coerente soltanto se inscritta
nel circolo dell'eterno ritorno, poiché altrimenti tale divenire avrebbe inizio
e una fine, cioè un'origine e una fine, inaccettabili in quanto metafisici».
[8] Ivi, pag.42
[9] Ivi,
pag.55
[10] Ibidem,
pagg.55,56
[11] Ivi,
pag. 66:«Dire la verità, in tal caso, non può essere una virtù in senso
assoluto, in quanto non si dice mai la verità ma si mente sempre – almeno
quando si dice la verità secondo un canone socio-linguistico stabilito. Quella
che chiamiamo verità non è altro che una menzogna convenzionale condivisa dalla
maggioranza dei parlanti, i quali accettano con riluttanza le innovazioni
linguistiche di quei pochi creatori generalmente ghettizzati nel cerchio della
poesia e della licenza poetica».
[12] Ivi,
pag.71
[13] Ivi,
pag.11
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