sabato 20 ottobre 2012

L'amore come collante sociale - Stati di pace. Una sociologia dell'amore di Luc Boltanski


Secondo il sociologo francese le relazioni sociali possono essere occasioni di conflittualità, ma è altrettanto vero che in molti casi l'agire degli individui si svolge in modo pacifico. La pace può essere il prodotto di routines necessarie o il frutto di una rinuncia al "do ut des" che sta alla base del concetto di giustizia, ossia uno stato del cosiddetto “gratuito” che va oltre la logica del freddo calcolo. «In un mondo considerato dalla prospettiva della giustizia esistono unicamente tre tipi di situazioni: alle situazioni giustificabili si contrappongo o situazioni  di violenza o situazioni contingenti, e su queste ultime due non vi è nulla da dire. Se è vero che la giustizia è pur sempre disputa, non possiamo però ricondurre alla contingenza tutto ciò che le sfugge. La pace non è riducibile alla contingenza, né ad una situazione in cui una disputa giustificabile (anche se non attivamente giustificata) di persone e cose potrebbe prevenire momentaneamente la disputa. Ora, anche la pace riguarda le persone, poiché ne hanno intuizione e, spesso, nostalgia»[1]. In pratica la pace, secondo Boltanski, escluderebbe la disputa in violenza, ossia il confronto tra le persone che, sotto qualsiasi spinta, porterebbe queste alla reciproca distruzione. Ma la pace escluderebbe anche quegli stati, che per quanto stabili all'apparenza, restano comunque inquadrabili in un regime di violenza in quanto il silenzio degli uni o degli altri risponde alla logica della calma apparente e della cosiddetta quiete prima della tempesta[2]. La pace non ha neppure nulla a che fare con la disputa sulla giustizia, caratterizzata questa  dall'impiego attivo di principi d'equivalenza generale che permettano, tramite prove, di attribuire alle persone un ordine di grandezza. «La pace è resa manifesta dal silenzio  delle equivalenze: quando due persone sono in pace, il riferimento all'equivalenza è inutile»[3]. Anche l'amore – sostiene Boltanski – ci è sempre stato presentato come un'alternativa alla violenza e come un'alternativa alla giustizia, eppure l'amore e i mezzi impiegati da questo sono  ignorano il regime di equivalenza, proprio come gli altri due stati, perché ci si può amare con capacità diverse e in molti modi possibili. Quindi neppure l'amore ha a che fare con lo stato di pace e, per spiegare cosa sia lo stato di pace e il comportamento ad esso connesso,  l'autore introduce il concetto di agape. Ovvero quella tensione tra amore e giustizia che riporta le azioni a un grado di equivalenza. L'amore di cui si parla non è quello teologico, assoluto, ma un amore che deve fare i conti con la quotidianità e che ciò nonostante dà speranza e rende le relazioni umane più vitali.


Questo tipo d'amore è  l'amicizia perché, come già aveva sostenuto Aristotele dell'Etica Nicomachea,  l'amicizia indica sempre un rapporto di reciprocità, un socialità almeno tra due individui. «Perché si instauri l'amicizia, è innanzitutto necessario che i partner abbiano dei meriti, che siano entrambi degni d'essere amati e per questo si deve presumere che gli amici abbiano la stessa capacità di valutare i meriti di qualcun altro, dunque una conoscenza comune di ciò che fa valore»[4] . Perché l'amicizia è un'uguaglianza, infatti da entrambe le parti derivano gli stessi vantaggi che gli uni vogliono dagli altri, oppure si scambiano un tipo di vantaggio con un altro[5]. In questo senso tra l'amicizia e la giustizia ci sono delle forti implicazioni, nel senso che vi è ancora il legame tra l'amicizia e la valutazione dei meriti.


L'eros è, in primo luogo, desiderio terreno, perché la forza del desiderio implica necessariamente oggetti da desiderare e, nello stesso tempo, la presa d'atto della mancanza del desiderio che si desidera. «La struttura dualistica dell'eros ingenera una specifica costruzione della relazione particolare-generale che racchiude una tensione irriducibile. L'amore (…) è sempre desiderio di elevarsi dall'inferiore al superiore, non può trovare soddisfazione seguendo il primo movimento che lo porta verso esseri individuali. Per compiersi pienamente, deve staccarsi dall'oggetto immediato per risalire alle idee generali che sottendono, in realtà, al desiderio»[6] . Sappiamo che in Freud, così come in Durkheim, la sessualità è fondata sul primato della desiderio e dei effetti distruttivi quando è orientato verso il possesso. Possesso per il quale gli uomini ingaggiano una competizione violenta.  Per Boltanski la pulsione sessuale  è deviata dalla violenza, determinata questa dalla cattiva reciprocità del desiderio, un'energia dunque pericolosa repressa e rimossa verso altre attività[7]. Meccanismo questo posto all'origine della società e che si ripete in ogni uomo e che indica anche il passaggio dal particolare al generale. In pratica, non è solo questione del singolo ma dell'intera società e per questo motivo la “cattiva reciprocità del desiderio” per essere orientata verso la “buona reciprocità delle relazioni solidali” deve essere prima staccata dall'idea del singolo e estesa all'umanità in generale: l'eros si trasforma in amicizia, in amore verso l'umanità in generale. In questo schema l'esistenza di un ordine sociale è assicurata dalla possibilità che il desiderio si muova su un asse che va dal singolare al generale, ossia dalle pulsioni particolari del singolo indirizzate però verso la collettività e, esteriorizzando come rappresentazioni collettive e reinteriorizzata sotto forma di valori morali, si assicura il controllo dei propri appetiti[8]

Diversamente dall'eros, l'agape non si eleva a ciò che è superiore e non contiene l'idea di desiderio, essendo costruita interamente sulla nozione di dono[9]. L'agape è dunque totalmente indipendente dal desiderio, non solo da quello più specificatamente erotico e terreno, ma anche quello cosiddetto divino, ossia dell'amore che porta l'individuo all'idea di trascendenza. Con l'agape non esiste l'idea di possesso e quindi la sofferenza qualora l'oggetto desiderato ci venisse portato via. Ma l'agape è diversa anche dalla philia, perché quest'ultima è fondata sul rapporto di reciprocità, mentre l'agape è fondata sul dono incondizionato che non si aspetta un ritorno di nessun genere, né di oggetti né in  veste di scambio d'amore. L'agape, a differenza della philia, non poggia su di uno schema interazionista, non è una sequenza di mosse e contromosse, evidentemente indispensabili come oggetto di studio in tutte le teorie dell'azione sociale. E questo perché l'agape non ha bisogno di ricorrere ad una misura di valore[10]. Nell'agape non c'è vendetta né perdono, l'atemporalità nega anche tutte le implicazioni del ricordo e del dimenticare:«La capacità di oblio non è in pratica che il risultato dell'applicazione agli errori come particolare insieme di oggetti, di una proprietà più generale che definisce il rapporto delle persone, immerse in questo stato d'amore, con il tempo. Contrariamente all'ordine della giustizia, ma anche diversamente dall'eros, l'agape possiede in effetti un originale orientamento temporale»[11]. La giustizia viaggia verso una temporalità calcolata dal senso del passato, perché gli atti devono essere stati prima compiuti per essere poi giudicati e soppesati; l'eros invece è volto all'avvenire, al momento posticipato del compimento; l'agape si mantiene ostinatamente nel presente[12].
Una volta che Boltanski traccia il senso d'amore collettivo e incondizionato da alcun paradosso giustizialista del dono e del contro-dono, necessario nella philia, né il fardello pulsionale del desiderio tipico dell'eros, si chiede se e in che misura sia veramente possibile la messa in atto dell'agape[13]. Già Durkheim aveva sviluppato una teoria dell'altruismo come modalità relazionale sociale, da contrapporre alla logica dell'interesse: in pratica l'amore di sé si contrapporrebbe l'amore della società. Anche in Marx, la soluzione per una giustizia sociale equa e non alienata risponderebbe ai valori comunisti. Ma, sia la teoria durkheniana di una solidarietà sociale sia quella rivoluzionaria marxiana, l'utopia si scontra contro una realtà alienata magistralmente creata dalla società industriale. Quindi l'agape è anch'essa solo una forma d'amore utopica? «(...) diversamente dalle altre concezioni dell'amore alle quali hanno fatto ampio ricorso le diverse scienze sociali, l'attaccamento definito come naturale e radicato nella biologia, desiderio di possesso o di sublimazione, o ancora relazione di reciprocità tra persone che si apprezzano vicendevolmente, l'agape possiede proprietà particolari, come la preferenza accordata al presente, il rifiuto del confronto e dell'equivalenza, il silenzio dei desideri o, ancora, l'assenza di anticipazioni nell'interazione (...)»[14]. Eppure, nonostante le ovvie problematiche una società basata sull'agape è possibile: attraverso il disinteresse collettivo per il calcolo. «(...) un mondo immerso nel regime di agape potrebbe senza dubbio approntare forme di auto-organizzazione dalle quali emergerebbe uno stato stabile, con particolarità che una delle condizioni del raggiungimento di un equilibrio è che nessuno se lo prefigga  esplicitamente. (…) affinché il regime si mantenga, bisogna che tutti siano pervasi dallo stesso disinteresse per il calcolo e che tutti dispongano delle medesime risorse necessarie per compiere, su se stessi e sugli altri, il lavoro che assicura l'inibizione delle capacità di calcolo naturalmente presenti nelle persone umane»[15]. La formula magica proposta dal Boltanski risiede proprio nel suo allontanamento dalla prospettiva interazionista. «Infatti, non essendo l'agape un modello interazionista, nel quale ciascuno incorpora alla propria condotta l'anticipazione della rispsota degli altri, le persone non hanno bisogno, per comportarsi secondo la logica, di questo regime, di sapere che gli altri fanno altrettanto»[16]. Lo stesso sociologo francese, tuttavia, definisce questo stato “una forma di agape pura” che, evidentemente presuppone una serie di meccanismi sociali davvero complicati da attuarsi perché ogni singolo individuo tende a calcolare la propria azione anche attraverso le azioni degli altri: è una forma di controllo e nello stesso tempo di protezione sociale. Per analizzare un regime possibile di agape è opportuno – sostiene Boltanski – tralasciare la relazione tra esseri umani immersi nella violenza e persone imperturbabilmente radicate nell'amore, per interessarci al rapporto che si instaura tra coloro che sono nell'amore e coloro che sono nella giustizia[17]. Perché «L'amore, nel senso di agape, può aprirsi un cammino verso l'espressione solo nella tensione che intrattiene con la giustizia»[18]. La teoria cardine di Boltanski è che ogni regime segue le regole del divenire dialettico (nel senso marxiano del termine) e che, non cessa di seguire il proprio corso se non per oscillare in un altro[19]. In questo senso il passaggio dalla giustizia è sicuramente in grado di porre fine alla violenza, ma ci si deve rifare ad un altro orientamento  per includere la possibilità di porre fine alla disputa condotta dalla giustizia.
Sappiamo che l'eros è contrassegnato dal desiderio e dal soddisfacimento dei bisogni, per uscire dall'amore è dunque necessario rifarsi a qualcosa che proviene da colui al quale l'amore si rivolge. In questo regime, in cui l'eros non è vincolato come nella philia, la filosofia del dono e contro-dono, non resta che eliminare un unico desiderio: quello del dare. Come? Attraverso il rifiuto del dono stesso. Solo con tale rifiuto si può abolire lo scarto tra eros e agape perché verrebbe meno il paradosso del contro-dono, ossia l'esigenza di contraccambiare il dono ricevuto, cosa per altro che farebbe oscillare all'interno del regime della philia, della giustizia. L'innamorato non necessariamente si aspetta di essere a sua volta amato, se non nella situazione  in cui la giustizia entra nel merito della questione, e in quel caso che il partner che riceve una risposta al suo dono ritiene che le regole dello scambio non sono state rispettate. Ma nel regime di agape le uniche regole del gioco sono che non ci sono calcoli o aspettative: l'unica regola è vivere il presente donando o ricevendo in una dimensione non individuale bensì sociale. Per uscire dallo stato di giustizia è sempre il rifiuto a venire in aiuto: rifiutare il dono. «Per amore della giustizia può rifiutarsi di rompere la reciprocità (…) e proseguire il gioco rielaborando il proprio slancio in modo che liberi l'intenzione di donare. Potrà allora compiere il passaggio dall'oggetto al dono che segna l'ingresso all'agape»[20]. In estrema sintesi la rinuncia a rendere, ma non a ricevere, assicura la possibilità di un'oscillazione nella logica dell'agape.



[1]    Luc Boltanski, “Stati di pace. Una sociologia dell'amore”, cit.  pag,39
[2]    A tale riguardo si pensi alla guerra fredda tra Usa e Urss, subito dopo il secondo conflitto mondiale.
[3]    Cit.  pag. 40
[4]    Ivi, pag.62
[5]    Aristotele, L’Etica Nicomachea.
[6]    Cit, pag. 67.
[7]    Marcuse sosterrà che la sessualità è stata rimossa e spostata verso il lavoro alienato.
[8]    Cit,  pag. 71
[9]    Ivi, pag. 124: «Il dono scambiato racchiude evidentemente un paradosso e l'espressione stessa di scambio di dono costituisce una contraddizione in termini. Infatti, o s'insiste sul dono, cioè come proprio sul carattere gratuito del regalo, perdendo di vista lo scambio, o si pone l'accento su quest'ultimo, e la gratuità del dono non può più apparire altro che un'illusione, se non addirittura un inganno».
[10] Ivi,  pag.77
[11]  Ivi, pag.82
[12] Ibidem, pag.82
[13] Ivi, pag. 109: «Il problema del realismo dell'agape. Già spinoso per la teologia, è stato risolutamente scartato dalla scienze sociali e dalle discipline da cui provengono».
[14] Ivi, pag.135
[15]  Ivi, pag.141
[16] Ibidem, pag, 141
[17] Ivi, pag.142
[18] Ivi, pag.144
[19] Ivi, pag.148
[20] Ivi, pag.156
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