
Questo tipo d'amore è l'amicizia perché, come già aveva sostenuto
Aristotele dell'Etica Nicomachea,
l'amicizia indica sempre un rapporto di reciprocità, un socialità almeno
tra due individui. «Perché si instauri l'amicizia, è innanzitutto necessario
che i partner abbiano dei meriti, che siano entrambi degni d'essere amati e per
questo si deve presumere che gli amici abbiano la stessa capacità di valutare i
meriti di qualcun altro, dunque una conoscenza comune di ciò che fa valore»[4]
. Perché l'amicizia è un'uguaglianza, infatti da entrambe le parti derivano
gli stessi vantaggi che gli uni vogliono dagli altri, oppure si scambiano un
tipo di vantaggio con un altro[5].
In questo senso tra l'amicizia e la giustizia ci sono delle forti
implicazioni, nel senso che vi è ancora il legame tra l'amicizia e la
valutazione dei meriti.
L'eros è, in primo luogo, desiderio
terreno, perché la forza del desiderio implica necessariamente oggetti da
desiderare e, nello stesso tempo, la presa d'atto della mancanza del desiderio
che si desidera. «La struttura dualistica dell'eros ingenera una specifica
costruzione della relazione particolare-generale che racchiude una tensione
irriducibile. L'amore (…) è sempre desiderio di elevarsi dall'inferiore al
superiore, non può trovare soddisfazione seguendo il primo movimento che lo
porta verso esseri individuali. Per compiersi pienamente, deve staccarsi
dall'oggetto immediato per risalire alle idee generali che sottendono, in
realtà, al desiderio»[6]
. Sappiamo che in Freud, così come in Durkheim, la sessualità è fondata sul
primato della desiderio e dei effetti distruttivi quando è orientato verso il
possesso. Possesso per il quale gli uomini ingaggiano una competizione
violenta. Per Boltanski la pulsione
sessuale è deviata dalla violenza,
determinata questa dalla cattiva reciprocità del desiderio, un'energia dunque
pericolosa repressa e rimossa verso altre attività[7].
Meccanismo questo posto all'origine della società e che si ripete in ogni uomo
e che indica anche il passaggio dal particolare al generale. In pratica, non è
solo questione del singolo ma dell'intera società e per questo motivo la
“cattiva reciprocità del desiderio” per essere orientata verso la “buona
reciprocità delle relazioni solidali” deve essere prima staccata dall'idea del
singolo e estesa all'umanità in generale: l'eros si trasforma in amicizia, in
amore verso l'umanità in generale. In questo schema l'esistenza di un ordine
sociale è assicurata dalla possibilità che il desiderio si muova su un asse che
va dal singolare al generale, ossia dalle pulsioni particolari del singolo
indirizzate però verso la collettività e, esteriorizzando come rappresentazioni
collettive e reinteriorizzata sotto forma di valori morali, si assicura il
controllo dei propri appetiti[8].
Diversamente dall'eros, l'agape non si
eleva a ciò che è superiore e non contiene l'idea di desiderio, essendo
costruita interamente sulla nozione di dono[9].
L'agape è dunque totalmente indipendente dal desiderio, non solo da quello più
specificatamente erotico e terreno, ma anche quello cosiddetto divino, ossia
dell'amore che porta l'individuo all'idea di trascendenza. Con l'agape non
esiste l'idea di possesso e quindi la sofferenza qualora l'oggetto desiderato
ci venisse portato via. Ma l'agape è diversa anche dalla philia, perché
quest'ultima è fondata sul rapporto di reciprocità, mentre l'agape è fondata
sul dono incondizionato che non si aspetta un ritorno di nessun genere, né di
oggetti né in veste di scambio d'amore.
L'agape, a differenza della philia, non poggia su di uno schema interazionista,
non è una sequenza di mosse e contromosse, evidentemente indispensabili come oggetto
di studio in tutte le teorie dell'azione sociale. E questo perché l'agape non
ha bisogno di ricorrere ad una misura di valore[10].
Nell'agape non c'è vendetta né perdono, l'atemporalità nega anche tutte le
implicazioni del ricordo e del dimenticare:«La capacità di oblio non è in
pratica che il risultato dell'applicazione agli errori come particolare insieme
di oggetti, di una proprietà più generale che definisce il rapporto delle
persone, immerse in questo stato d'amore, con il tempo. Contrariamente all'ordine
della giustizia, ma anche diversamente dall'eros, l'agape possiede in effetti
un originale orientamento temporale»[11].
La giustizia viaggia verso una temporalità calcolata dal senso del passato,
perché gli atti devono essere stati prima compiuti per essere poi giudicati e
soppesati; l'eros invece è volto all'avvenire, al momento posticipato del
compimento; l'agape si mantiene ostinatamente nel presente[12].
Una volta che Boltanski traccia il
senso d'amore collettivo e incondizionato da alcun paradosso giustizialista del
dono e del contro-dono, necessario nella philia, né il fardello pulsionale del
desiderio tipico dell'eros, si chiede se e in che misura sia veramente
possibile la messa in atto dell'agape[13].
Già Durkheim aveva sviluppato una teoria dell'altruismo come modalità
relazionale sociale, da contrapporre alla logica dell'interesse: in pratica
l'amore di sé si contrapporrebbe l'amore della società. Anche in Marx, la
soluzione per una giustizia sociale equa e non alienata risponderebbe ai valori
comunisti. Ma, sia la teoria durkheniana di una solidarietà sociale sia quella
rivoluzionaria marxiana, l'utopia si scontra contro una realtà alienata
magistralmente creata dalla società industriale. Quindi l'agape è anch'essa
solo una forma d'amore utopica? «(...) diversamente dalle altre concezioni
dell'amore alle quali hanno fatto ampio ricorso le diverse scienze sociali,
l'attaccamento definito come naturale e radicato nella biologia, desiderio di
possesso o di sublimazione, o ancora relazione di reciprocità tra persone che
si apprezzano vicendevolmente, l'agape possiede proprietà particolari, come la
preferenza accordata al presente, il rifiuto del confronto e dell'equivalenza,
il silenzio dei desideri o, ancora, l'assenza di anticipazioni nell'interazione
(...)»[14].
Eppure, nonostante le ovvie problematiche una società basata sull'agape è
possibile: attraverso il disinteresse collettivo per il calcolo. «(...) un
mondo immerso nel regime di agape potrebbe senza dubbio approntare forme di
auto-organizzazione dalle quali emergerebbe uno stato stabile, con
particolarità che una delle condizioni del raggiungimento di un equilibrio è
che nessuno se lo prefigga
esplicitamente. (…) affinché il regime si mantenga, bisogna che tutti
siano pervasi dallo stesso disinteresse per il calcolo e che tutti dispongano
delle medesime risorse necessarie per compiere, su se stessi e sugli altri, il
lavoro che assicura l'inibizione delle capacità di calcolo naturalmente
presenti nelle persone umane»[15].
La formula magica proposta dal Boltanski risiede proprio nel suo allontanamento
dalla prospettiva interazionista. «Infatti, non essendo l'agape un modello
interazionista, nel quale ciascuno incorpora alla propria condotta
l'anticipazione della rispsota degli altri, le persone non hanno bisogno, per
comportarsi secondo la logica, di questo regime, di sapere che gli altri fanno
altrettanto»[16].
Lo stesso sociologo francese, tuttavia, definisce questo stato “una forma di
agape pura” che, evidentemente presuppone una serie di meccanismi sociali
davvero complicati da attuarsi perché ogni singolo individuo tende a calcolare
la propria azione anche attraverso le azioni degli altri: è una forma di
controllo e nello stesso tempo di protezione sociale. Per analizzare un regime
possibile di agape è opportuno – sostiene Boltanski – tralasciare la relazione
tra esseri umani immersi nella violenza e persone imperturbabilmente radicate
nell'amore, per interessarci al rapporto che si instaura tra coloro che sono
nell'amore e coloro che sono nella giustizia[17].
Perché «L'amore, nel senso di agape, può aprirsi un cammino verso l'espressione
solo nella tensione che intrattiene con la giustizia»[18].
La teoria cardine di Boltanski è che ogni regime segue le regole del divenire
dialettico (nel senso marxiano del termine) e che, non cessa di seguire il
proprio corso se non per oscillare in un altro[19].
In questo senso il passaggio dalla giustizia è sicuramente in grado di porre
fine alla violenza, ma ci si deve rifare ad un altro orientamento per includere la possibilità di porre fine
alla disputa condotta dalla giustizia.
Sappiamo che l'eros è
contrassegnato dal desiderio e dal soddisfacimento dei bisogni, per uscire
dall'amore è dunque necessario rifarsi a qualcosa che proviene da colui al
quale l'amore si rivolge. In questo regime, in cui l'eros non è vincolato come
nella philia, la filosofia del dono e contro-dono, non resta che eliminare un
unico desiderio: quello del dare. Come? Attraverso il rifiuto del dono stesso.
Solo con tale rifiuto si può abolire lo scarto tra eros e agape perché verrebbe
meno il paradosso del contro-dono, ossia l'esigenza di contraccambiare il dono
ricevuto, cosa per altro che farebbe oscillare all'interno del regime della
philia, della giustizia. L'innamorato non necessariamente si aspetta di essere
a sua volta amato, se non nella situazione
in cui la giustizia entra nel merito della questione, e in quel caso che
il partner che riceve una risposta al suo dono ritiene che le regole dello
scambio non sono state rispettate. Ma nel regime di agape le uniche regole del
gioco sono che non ci sono calcoli o aspettative: l'unica regola è vivere il
presente donando o ricevendo in una dimensione non individuale bensì sociale.
Per uscire dallo stato di giustizia è sempre il rifiuto a venire in aiuto: rifiutare
il dono. «Per amore della giustizia può rifiutarsi di rompere la reciprocità
(…) e proseguire il gioco rielaborando il proprio slancio in modo che liberi
l'intenzione di donare. Potrà allora compiere il passaggio dall'oggetto al dono
che segna l'ingresso all'agape»[20].
In estrema sintesi la rinuncia a rendere, ma non a ricevere, assicura la
possibilità di un'oscillazione nella logica dell'agape.
[1] Luc Boltanski, “Stati di pace. Una
sociologia dell'amore”, cit. pag,39
[2] A tale riguardo si pensi alla guerra fredda
tra Usa e Urss, subito dopo il secondo conflitto mondiale.
[3] Cit.
pag. 40
[4] Ivi,
pag.62
[5] Aristotele, L’Etica Nicomachea.
[7] Marcuse sosterrà che la sessualità è stata
rimossa e spostata verso il lavoro alienato.
[8] Cit,
pag. 71
[9] Ivi, pag. 124: «Il
dono scambiato racchiude evidentemente un paradosso e l'espressione stessa di
scambio di dono costituisce una contraddizione in termini. Infatti, o s'insiste
sul dono, cioè come proprio sul carattere gratuito del regalo, perdendo di
vista lo scambio, o si pone l'accento su quest'ultimo, e la gratuità del dono
non può più apparire altro che un'illusione, se non addirittura un inganno».
[10] Ivi, pag.77
[11] Ivi,
pag.82
[12] Ibidem,
pag.82
[13] Ivi,
pag. 109: «Il problema del realismo dell'agape. Già spinoso per la teologia, è
stato risolutamente scartato dalla scienze sociali e dalle discipline da cui
provengono».
[16] Ibidem,
pag, 141
[17] Ivi,
pag.142
[18] Ivi,
pag.144
[19] Ivi,
pag.148
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