giovedì 29 agosto 2013

La generazioni degli antieroi 2.0

Dall'estate e dalle vacanze mi aspetto sempre qualcosa, dovrei essere abbastanza adulta e quindi disincantata per sapere che l'eterno ritorno, monotono e privo si avventura, comprende anche la stagione del sole e che, di conseguenza, non dovrei mai aspettarmi niente.
Nietzsche, il padre dell'eterno ritorno, sosteneva che il concetto di ciclicità non richiama soltanto le gesta eroiche, ma anche (forse anche più velocemente e ripetutamente) le quotidianità: un mal di denti, un litigio, l'amore felice e l'amore infelice.

Siamo abituati ad alzarci la mattina e vedere il sole sorgere, così come siamo abituati a bruciarci se mettiamo la mano nel fuoco: abitudini le chiamava Hume, abitudini falsificate dalla credenza che dato una causa allora ecco spuntare l'effetto. Le posizioni del filosofo scozzese, a mio parere, sono meno paradossali di quanto non si creda.
E comunque hanno molto più senso logico dei falsi paradossi che la politica si inventa tutti i giorni per giustificare l'ingiustificabile.
Il punto però è: è lecito aspettarci quel qualcosa che renderà la nostra vita meno puerile o la nostra è solo una spinta alla Samuel Beckett?

Sarà che credo fermamente nell'assioma weberiano, secondo cui il disincantamento del mondo porterebbe inesorabilmente alla disumanizzazione radicale. E la dove il tutto è molto più che la singola parte, direi che il rischio di una società cronicamente malata è molto più forte se le singolarità rispondono all'imperativo solipsistico del “me ne fotto del domani”.
Se tutti la pensassero in questo modo non ci sarebbero rivoluzioni né cambiamenti di sorta.

Se vogliamo un mondo differente (non necessariamente migliore visto che persino la grammatica ci insegna che i comparativi possono essere di maggioranza ma anche di minoranza) è necessario, come primo termine del nostro sillogismo, immaginarci qualcosa di diverso. Avere aspettative e guardare il futuro con la meraviglia aristotelica.

Mi rendo però conto che questo è più facile a dirsi che a farsi.
In primo luogo perché la mia generazione è alquanto sfigata...

Quel tutto di cui molti delle precedenti generazioni parlano – chi non ha mai sentito la frase: “sono fortunati perché hanno tutto”, è un vuoto a perdere che non verrà riciclato né oggi né domani.

La domanda è: come potrà esserci l'aspettativa futuristica in una realtà in cui personaggi che credono di poterti convincere che 300 euro al mese (forse) per lavorare sette giorni su sette, categoria D, senza guadagni aggiuntivi né onori, al massimo un aumento di oneri, sono una possibilità per entrare nel mondo del lavoro, la fanno da padroni?
Come potremo guardarci allo specchio e non osservare solo quello sguardo vacuo di chi non ha nulla da perdere solo perché non ha mai guadagnato niente?

Siamo gli antieroi in una società spietata che calcola solo i guadagni delle scelte e non la sostanza delle scelte stesse.
Siamo gli antieroi e non c'è permesso neppure di indossare una stupida tutina azzurra con la S di Sfigati incisa a caratteri cubitali sul petto.
Non c'è permesso di indossare la maschera perbenista della vecchia borghesia che andava a puttane, rigorosamente senza preservativo perché anche l'aborto preventivo è peccato; e faceva patti con il diavolo, tanto se le corna non si vedono è tutto in regola.

Ma non voglio dare l'impressione di una che si è arresa. Anzi.
Il mio idealismo alla Peter Pan mi porta ad essere un'inguaribile ottimista. Sono una di quelle rivoluzionarie che alla domanda dell'orwelliano O'Brien: “Se tanto per fare un esempio, potesse risultare utile per i nostri scopi gettare dell'acido solforico in faccia a un bambino... saresti pronto a farlo?”, avrei risposto NO con sicurezza. Perché la rivoluzione sociale è molto più che un ruotare attorno al proprio sole: spesso è solo un andare controcorrente per sconfiggere semplicemente le paure che ci hanno impedito di andare oltre.

Siamo gli antieroi 2.0...
I rivoluzionari del lavoro precario...
Siamo quelli che davanti alla domanda chi butteresti dalla torre? Non ci lasciamo spaventare, né sentiamo impedimenti di sorta nel dare un risposta immediata, secca, decisa.
Gli antieroi 2.0 potranno non avere un loro personale costumino idiota o uno status socio-economico venerato dalla religione capitalistica, ma possiedono la consapevolezza che qualunque risposta, a quella domanda, è sbagliata. E questo solo perché a quesiti così stupidi non esistono risposte intelligenti.
Siamo coloro che sanno che il potere conserva ancora l'immagine di un grosso Leviatano che divora le sue vittime e poi le sputa, e chiede persino che qualcuno gli tolga i residui dalla bocca con uno stecchino.

Winston Smith ha commesso un terribile errore nel rispondere Sì alla provocazione del Grande Fratello: non puoi cambiare il mondo se sei disposto a commettere le stesse aberrazioni di coloro che combatti.
Te l'avevo detto, Winston, che la metafisica non è il tuo forte. La parole che cerchi è solipsismo”.

Questa battuta è la dimostrazione secondo cui nulla esiste esternamente all'uomo...

Ma la verità è altro da ciò che rivendicava O'Brian e da ciò che fantasticava il povero Winston.

La verità è che se smettiamo di aspettarci qualcosa di speciale dall'estate, finiremo col vivere solo degli inverni piovosi.

La verità è che finché non diverremo coscienti della nostra forza, non ci ribelleremo e, finché non ci ribelleremo, non diventeremo coscienti della nostra forza.

La verità è che anche questo pensiero lo può formulare chiunque: un'apoditticità che rende tutte le rivoluzioni tristemente sterili.
Comunque non inutili alla causa.
Peccato ci si lamenti sempre della scarpa, quando dovremo imparare lamentarci del piede...


MICHELA PISU
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martedì 13 agosto 2013

L'uso della petizione di principio come tecnica di difesa e come comunicazione politica

La logica della comunicazione è spesso talmente subliminale da riuscire a fuorviare la nostra percezione della stessa. Non che tutto ciò che ci viene iniettato è sempre oggetto di studio o di artifici zenoniani, tuttavia per proteggerci da coloro che, invece, vivono studiando la mente umana non per comprenderla ma per gestirla, credo sia opportuno riflettere sul fatto che davvero a pensar male non sempre si fa peccato e che anzi il più delle volte ci si azzecca.
Un preambolo il mio che non vuole assolutamente assumere alcun giudizio di valore: non è mio interesse studiare il perché delle cose semmai il come avvengono le cose. Perché la comunicazione, affinché sia compresa in tutte le sue forme, deve essere studiata attraverso un atteggiamento scientifico, la dove l'ermeneutica assume valore di analisi oggettiva e non di mera interpretazione soggettiva.

Suppongo che tutti, italiani e non, siano a conoscenza delle situazioni giudiziarie di Silvio Berlusconi. Francamente gli ultimi avvenimenti mi hanno annoiata parecchio e la mia unica riflessione che lo riguardava era che le sue accuse mosse (tanto per cambiare) ai magistrati, con tutti gli sproloqui che sono seguiti, rasentassero il ridicolo.

Invece mi sbagliavo...

L'altra mattina, al mare, avevo al mio fianco due coppie di anziani che parlavano appunto dei “guai” (badate: gli epiteti non sono mai casuali, spesso inconsci, come in questo caso, ma mai casuali. Anziché usare il termine “guai” i miei dirimpettai da spiaggia potevano utilizzare “vicende”, “condizione”, “fatto”, “accadimenti” ecc. l'uso del sostantivo “guaio” denota già la loro posizione in merito), di Berlusconi e tutti e quattro convergevano su un unico punto: “Avrà pure fatto quello che ha fatto... ma i giudici si sono accaniti contro di lui”.

A quel punto Castle of glass dei Linkin Park è diventata rumore e ho iniziato a riflettere che quella che a me era parsa come una comunicazione da “ultima spiaggia” dettata da un uomo che si vedeva finito, in realtà era la solita genialata comunicativa di un apparato imponente che, a quanto pare, sa sempre cosa fare.

La comunicazione può avere come obiettivo la sfera emotiva piuttosto che quella logica. Gli spot pubblicitari ad esempio giocano spesso sull'emotività e sulla sinestesia, mentre le pubblicazioni scientifiche cercano il consenso attraverso l'uso razionale dell'argomentazione proposta. Le tecniche da utilizzare nel primo caso sono solitamente ad hominem, nel secondo caso ad rem.

Gli esperti della comunicazione di Berlusconi, a mio avviso, hanno optato per una tecnica precisa chiamata petizione di principio.

La petizione di principio è una forma particolare di argomentazione ad hominem, che consiste nel postulare ciò che si vuole dimostrare. Per dirla come l'avrebbe detta Aristotele, la petizione di principio anticipa la conclusione di un sillogismo ponendola come premessa maggiore, la dove la sintesi sillogistica non si diversifica in modo netto e deciso dalla tesi.

Farò l'esempio pratico per essere più chiara.

Berlusconi per difendersi dalle accuse che gli sono state mosse non ha dichiarato la sua innocenza in primis, ma la sua innocenza era un preambolo insita nell'argomentazione che vedeva i magistrati tutti contro di lui.
La figura retorica utilizzata è l'isterologia, che prevede l'inversione dell'ordine logico della frase, anticipando ciò che si dovrebbe dire dopo: l'innocenza è postulata come conclusione di una logica argomentativa che vede la faziosità (badate bene mai presunta ma sempre certificata da petizioni di principio: “i giudizi ce l'hanno contro di me”), dei magistrati.

L'ordine della premessa maggiore e della conclusione è dunque invertito.

Se la difesa comunicativa avesse postulato una frase di questo tipo: “Sono oggetto di un'accusa ingiusta”, l'effetto probabilmente non sarebbe stato lo stesso, perché l'inversione semantica prevede anche lo spostamento emotivo: “non vedo più l'oggetto dell'accusa, ma cristallizzo il mio sguardo solo sulla petizione di principio”.

Alcune esperti della comunicazione sostengono illegittima la petizione di principio, o comunque lo intendono come un errore argomentativo, perché il suo campo non è la verità bensì l'efficacia dell'adesione.
In realtà legittima o no, la comunicazione politica ne fa un ampio uso e spesso i contenuti sono la parte marginale del discorso: ciò che conta non è ciò che si argomenta ma come lo si argomenta.




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